L'Umbria, dove la natura e la cultura contadina sono parti integranti della vita quotidiana, è una regione che sposa perfettamente la mission di Slow Food, movimento nato nel 1989 per la tutela e il diritto al lento piacere.
La Fondazione Slow Food, tutela oggi in tutto il mondo le biodiversità, i prodotti tradizionali locali, coltivati nei territori di origine con pratiche sostenibili pulite.
Attraverso un itinerario gastronomico, vi invitiamo a scoprire i Presidi Slow Food Umbri: prodotti semplici dai sapori incredibili frutto dell'antica tradizione agricola locale.
Fagiolina del lago Trasimeno
Coltivata fino agli anni 50 nel territorio intorno al Lago Trasimeno, questo antico seme, piccolo come il riso, nel corso degli anni è quasi scomparso. Le campagne del lago Trasimeno si sono spopolate e la produzione rimasta ha prediletto colture dal valore commerciale maggiore. La coltivazione della fagiolina è faticosa e ancora manuale, dalla semina alla raccolta fino alla battitura. I fagioli maturi vanno raccolti ogni giorno per due settimane, si lasciano essiccare, si battono e, dopo aver separato i semi, si insaccano. La Fagiolina può essere di vari colori, ha una consistenza burrosa e molto saporita. Le ricette sono semplici, come da tradizione contadina: lessa e condita con olio Evo oppure in tegame con pomodoro e aglio.
Mazzafegato dell'alta valle del Tevere
Diffuso in Toscana e Umbria trova nell'alta Valtiberina la sua massima espressione. Non si tratta di una salsiccia comune: il Mazzafegato era considerato una produzione più povera realizzata con la cosiddetta "ripulitura di banco". Dopo la preparazione di tutti gli insaccati, le rimanenze di carne non utilizzate (fegato, cuore, polmone) vengono tritate in modo grossolano, aggiunte di cotenna e fegato, condite con sale, pepe, limone o arancio e finocchio che conferisce il classico sapore. L'impasto viene insaccato nel budello naturale, legato manualmente in piccole salsicce con lo spago e lasciato essiccare per una decina di giorni.
La cottura perfetta è alla brace che ne esalta il sapore.
Cicotto di Grutti
Grutti, piccola frazione di Gualdo Cattaneo, c'è una tradizione culinaria antica legata alla carne di maiale. Da generazioni le famiglie, nel forno a legna del paese, preparano due piatti decisamente slow specie nella lunga preparazione: la porchetta e il cicotto. Il Cicotto tradizionale di Grutti prevede la cottura di tutti i tagli del maiale: orecchie, zampetti, stinco, lingua, trippa e interiora vengono sezionati, lavati e lavorati amano.
Le carni vengono poste in cottura nel forno proprio sotto alla porchetta per raccoglierne il grasso e le spezie, rosmarino, pepe, finocchio e aglio rosso di Cannara. Dalle 9 alle 12 ore di cottura a 200°C per un Cicotto tenero, che appena freddo e scolato dai liquidi, viene posto nelle ceste è pronto per essere gustato.
Un sapore ricco, intenso, speziato e affumicato da non perdere.
Fava cottòra dell'Amerino
L'Amerino, il territorio compreso tra Amelia, Todi e Orvieto, grazie al terreno argilloso e privo di calcare, favorisce la coltivazione della fava cottora o mezza fava.
Un legume che non deve essere decorticato, facile da cuocere (per questo detta cottora) e particolarmente digeribile.
Gli abitanti coltivano la fava cottora manualmente, come da tradizione: dopo l'aratura estiva, nei primi di novembre, si semina in ‘postarelle' (piccole buche) e si attende il mese di luglio per la raccolta. Le fave vengono raccolte già secche e lasciate ancora al sole per una decina di giorni; questo facilita la battitura che permette l'estrazione del baccello.
Si passa poi al setaccio per la separazione delle impurità.
La preparazione della fava cottora è piuttosto complessa: dall'ammollo si passa all'ebollizione, si lascia poi riposare un'intera notte, si eliminano poi i residui duri con un tradizionale procedimento ‘sonoro'.
A questo punto le fave sono pronte per essere condite con sale, pepe, olio, ripassate in padella con pomodoro e cipolla oppure cotte nel grasso e magro del maiale per preparare la tradizionale striscia con fave dell'amerino.
Roveja di Civita di Cascia
Nei secoli scorsi era coltivata in tutta la dorsale Appeninica tra Umbria e Marche, specie nella zona dei Monti Sibillini grazie alla resistenza alle basse temperature e all'altitudine.
La roveja è un legume altamente proteico simile al pisello, di colore scuro, che insieme agli altri legumi rappresentava uno degli alimenti principali di pastori e agricoltori della zona. La coltura è stata abbandonata quasi ovunque ad eccezione della Valnerina tra Cascia e Preci.
La roveja si semina marzo e si raccoglie tra luglio e agosto. Quando le foglie ingialliscono viene battuta come la lenticchia, viene trebbiata e ripulita dalle impurità tramite i setacci. Ottima per minestre e zuppe, la roveja può essere anche macinata e trasformata nella farina che serve per la farecchiata o pesata un'ottima polenta da condire con acciughe, aglio e olio Evo.
Sedano nero di Trevi
A ridosso delle famose Fonti del Clitunno, lungo l'omonimo fiume si trovano oggi le poche coltivazioni di Sedano Nero che fino al secolo scorso erano diffuse in tutta la Valle Umbra.
Il Sedano Nero è di colore scuro, privo di fili, dal cuore tenero e polposo, profumatissimo e di dimensioni magigori: raggiunge anche un metro.
Nei secoli scorsi, durante lo Stato Pontificio, veniva fornito come alimento alle navi dirette nelle Americhe: il buon gusto e la lunga conservazione lo rendevano un alimento prezioso.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale, con la diffusione del sedano comune americano, questo ortaggio è quasi sparito.
La tradizione nella coltivazione è ancora oggi invariata: la semina avviene il Venerdì Santo perché, secondo i contadini di Trevi, questo ne accellera la crescita e ritarda la fioritura.
I semi prelevati ogni anno, dalle piante migliori, vengono custoditi gelosamente dai locali.
La raccolta avviene a Ottobre, periodo della Sagra del Sedano Nero di Trevi.
Si può gustare in pinzimonio, preparato in parmigiana, ripieno di salsiccia ma sempre condito con il prezioso olio EVO della Fascia Olivata.
Vino santo affumicato dell'alta valle del Tevere
Il Vin Santo, prodotto in tutte le area vinicole Toscane e Umbre, ha una forte tradizione nella zona intorno a Città di Castello, alta Valle del Tevere.
I grappoli vengono appesi per l'appassimento in locali con stufe e camini ricchi di fum; questa antica tradizione si è legata alla produzione del tabacco diffusa nella zona. Le famiglie stendevano alle travi della cucina foglie di tabacco e grappoli di uva che vengono dal trebbiano, malvasia ma anche grechetto, cannaiolo, vernaccia e san colombano.
Le uve, raccolte a maturazione non completa, vengono stese per almeno tre o quattro mesi; al termine vengono pigiati e lasciati fermentare in botti di legno con lievito madre custodito dai produttori.
Dopo almeno tre anni il vino dolce, che rimanda ai sentori di fumo e frutta secca, è pronto per essere gustato insieme a dolcetti secchi della tradizione umbra.
Ricotta salata della Valnerina
Terra selvaggia ricca di boschi e dall'antica tradizione pastorizia: la Valnerina era un tempo area di allevamenti ovini e caprini.
L'antica Transumanza portava in Valnerina, ogni estate, greggi provenienti da altre regioni, nei periodi invernali gli allevamenti si spostavano nelle pianure più miti.
Durante la transumanza i prodotti (formaggio e ricotta) dovevano essere trasportati e conservati: la ricotta che non veniva consumata subito nella zuppa veniva sistemata in un sacco di canapa, strizzata, salata e lasciata appesa ad asciugare nei locali di stagionatura (da due settimane a quindici mesi).
Nasce così la ricotta salata nella forma conosciuta oggi.
Dopo una breve stagionatura è perfetta per essere consumata con olio extravergine e pepe, la ricotta più stagionata può essere grattugiata su zuppe, pasta e minestre.
Fagiolo secondo del Piano di Orvieto
Una coltura antica, quella del Fagiolo Secondo che prende il nome dal tipo di semina: avviene infatti dopo la mietitura del grano, nei primi di luglio, dopo la prima semina. La raccolta avviene nel mese di ottobre.
Si tratta di un fagiolo piccolo, dal seme bianco chiamato l'oro bianco del Paglia.
L'area è quella di Orvieto, ai piedi della rupe, fino agli anni '50, era una coltivazione diffusa appunto in tutta l'area del fiume Paglia: i contadini lo barattavano in cambio dell'olio, non prodotto nella piana.
Il fagiolo ha un gusto molto delicato, la ricetta tradizionale è quella dei fagioli all'uccelletto: i legumi sono bolliti, ripassati in padella con aglio, olio, salvia e pomodoro conditi con Olio EVO a crudo.